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Channel: Commenti a: Studiare o divertirsi?
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Di: Alberto

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Purtroppo mi sto rendendo sempre più inesorabilmente conto di come la scuola italiana in genarale (so che sono brutte le generalizzazioni, ma tant’è), la mia scuola e la mia classe siano sbagliate. Fin dalle radici. Ebbene, ora che le calde gionate di maggio sono dominate dal sole e dai fiori, la voglia di studiare viene meno. Sarà anche normale in una certa misura. In una certa misura, appunto. Purtroppo, però, a dispetto di tutta questa luce di maggio – e di tutta quest’altra Luce – vedo che il mio orizzonte scolastico si fa sempre più fosco. E nella foschia, si sa, si rischia di perdersi.
Ora sono abbastanza navigato – è il quarto anno di liceo classico – e posso affermare con una certa consapevolezza di non avere dei bravi insegnanti. O meglio: ho dei bravi “accademici”, persone estremamente colte, capaci di vomitare addosso ai noi studenti tutto lo scibile classico. Non ho dei bravi insegnanti. Insegnate è colui che “lascia un segno” nello studente. L’unico segno che stanno incidendo sulla mia pelle, sul mio vissuto, con sudore e sangue, nottate di fuoco alle prese con montagne di pagine, è (oltre a pesanti occhiaie) l’indifferenza. Tristemente indifferente a tutto ciò che faccio a scuola: così definisco il mio essere studente. Indifferente anche nei loro confronti, dei mei “insegnanti”, che non riescono a spiccare sulla banale piattezza della cultura fatta di vuota erudizione. Non posso trovare differenze in ciò che non amo. Non posso pormi io stesso in maniera differente nei confronti di ciò che sento troppo distante da me.
I miei insegnanti arrivano in classe con la faccia arcigna, arrabbiati, urlanti. Volano sguardi di fuoco, parole pesanti. I miei insegnanti non accolgono i propri ragazzi alla prima ora nè li salutano all’ultima. I miei insegnanti hanno solo sorrisi carichi di amaro sarcasmo.
Il problema più grave è però senz’altro il fatto che si guardano dall’interessarsi alla nostra vita, ai nostri stati d’animo, ai nostri interessi. A loro sembra non importare che nella IIaLC ci sono 17 teste diverse, ognuna delle quali chiede cose diverse, ha differenti intelligenze e probabilmente vorrebbe essere altrove. Non c’è solo la testa dell’insegnante e tanto meno le nostre non possono essere come la sua.
“E’ meglio una testa ben fatta che una testa piena”, diceva Montaigne. Eh, già. Triste verità. Triste perchè non trovo un riscontro nella mia personale eseprienza. La ragione? A me è semplicemente richiesto di prendere bei voti. Nemmeno di conoscere ciòche viene spiegato in classe, nemmeno la parte di programma per la quale peraltro prendo una valutazione alta. Ciò che sono chiamato a fare è conseguire una stupida ottima valutazione.
E io dovrei piegarmi a questa bieca concezione della’insegnamento, della scuola, del sapere?

Intendo precisare rimarcatamente che non tutti i miei professori corrispondono alla descrizione qui sopra. Ce ne è uno che al contrario si sta rivelando giorno dopo giorno degno della mia stima e del mio affetto. Sebbene diamentralmente divergenti su certi aspetti della vita, lui è l’unica persona che riesca a suscitare il mio interesse intanto nei confronti diche fà e porta in classe con amore, ossia la filosofia, e poi in lui stesso, in ciò che dice e pensa.

Da ultimo voglio raccontarle due mie recentissime esperienze. Le ricorderanno qualcosa probabilmente.
La prima: la faccia polverosa, severa e rugosa della scuola. Il mio professore di italiano, dopo aver esordito in prima liceo con l’inflazionato slogan “siete troppi: vedrete che vi ridurremo”, pochi giorni fa ha condensato tutto il suo amore per il suo lavoro in questa perla di raro valore: “Un insegnante non deve avere cuore. Un insegnante deve avere un cuore di pietra. Se volete fare questo lavoro sappiate che non potete avere cuore quando siete in classe. Ovvio: alrimenti farete prefernze”. Uno scherzo, pensavamo. Allora un mio compagno ribatte: “Ma no, prof! Un insegnante deve avere un cuore talmente grande da non fare nessuna preferenza!”. “No, no: un cuore di pietra”. Parlava seriamente.

La seconda: la faccia luminosa e sorridente della scuola. Quest’anno ho scoperto la poesia. La scuola però non c’entra nulla in questo – e va bene così. Poco tempo fa il mio prof di filosofiaci ha parlato della sua giovinezza e di come la poesia ai tempi occupasse la sua vita e impegnasse la sua fantasia. Interessato e sognante anche io, dal momento che non avevo letto nessun grande poeta, ma semplicemente scritto la mia poesia, ho chiesto un consiglio.
Il giorno seguente, una volta entrato in classe, lo vedo estrarre dalla sua 24ore marrone un libricino un po’ invecchiato. Si alza in piedi e viene verso di me. “Tieni. Questo è per te”. Mi ha regalato una delle sue molte copie di “Elegie Duinesi”, di R.M. Rilke, il suo libro di poesia preferito. Il libro della sua giovinezza! Ecco, allora io sorrido e mi perdo nei miei sogni. Questo grazie ad un gesto stra-ordinario di un ordinario professore di filosofia.
Fantastico.


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